SOLENNITÀ DEL BATTESIMO DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

Concattedrale di “Santa Maria Assunta” in Atri - Omelia del Vescovo S. E. Mons. Lorenzo Leuzzi
13-01-2019

Cari fratelli e sorelle,

 

conserviamo ancora nel cuore la gioia del Santo Natale e del giorno dell’Epifania.

Oggi si svela il mistero più profondo della nostra gioia: al fiume Giordano il cielo si è aperto.

 

Quel Bambino che abbiamo accolto nella Grotta di Betlemme e adorato da Magi provenienti da paesi lontani è il Servo di Javhè.

Non c’è più spazio per il semplice ricordo della sua nascita. Quel Bambino, ormai trentenne, ha scelto di stare tra gli uomini che desideravano ricevere il battesimo da Giovanni in attesa del Messia.

 

Ma il Messia è Lui, Gesù di Nazareth; è Lui il Figlio, l’amato nel quale il Padre ha posto la sua compiacenza!

 

Il cielo si è aperto perché Lui ha accettato di condividere la nostra condizione umana. Gesù è lì al Giordano, in fila come tutti gli uomini, per ricevere il battesimo.

Il profeta Isaia può davvero esultare e noi con lui: “consolate, consolate il mio popolo!” (Is40,1).

 

Al fiume Giordano si manifesta e prende il via la grande e definitiva consolazione di Dio. Tutta la Trinità s’impegna in questo desiderio di consolare ciascuno di noi: insieme a Gesù, il Padre che fa udire la sua voce e lo Spirito Santo che discende in forma di colomba.

 

 

Cari amici,

 

non c’è consolazione più piena e decisiva per l’umanità che il dono di Gesù di Nazareth, il quale si fa carico di trasformare il battesimo da evento penitenziale, come era quello di Giovanni, in una nuova creazione.

 

Al Giordano Dio consola definitivamente l’umanità: il cielo ormai è aperto; Dio e l’uomo possono collaborare insieme per costruire la storia: “Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta” (Is40,2).

 

Anche in noi si è manifestata questa consolazione di Dio: nel giorno del Battesimo ci è stata donata la vita eterna che è iniziata nel tempo e proseguirà oltre il tempo.

 

In quel giorno anche a ciascuno di noi il Padre ha rivelato la sua compiacenza, la sua gioia. Pensando a ciò che è accaduto al fiume Giordano siamo chiamati a verificare se davvero ci stiamo impegnando a rinnegare l’empietà e i desideri mondani, come ci ha esortati l’apostolo Paolo (cf. Tt 2,12).

 

Noi, cari fratelli e sorelle, viviamo in un tempo in cui sembra che il cielo sia chiuso! Molti vorrebbero che la nostra fede si riducesse a semplice adesione a un messaggio religioso o sociale.

Certo essere sobri, giusti, devoti, è un grande traguardo per la nostra vita e un segno per i nostri fratelli.

 

Ma al Giordano il Signore ci ricorda che Lui non è il fondatore di una religione o di un gruppo sociale o politico, ma il Servo di Javhè che, con la sua morte e risurrezione, ha aperto il cielo.

 

Nella società contemporanea è il vero e grande annuncio di cui ha bisogno l’umanità: il cielo è aperto.

 

Nel secolo scorso molti di noi hanno vissuto l’esperienza di proposte culturali e sociali che negavano che il cielo fosse aperto. E tutti ne conosciamo le tristi conseguenze. Oggi, come allora, la chiusura del cielo si manifesta nell’utopia religiosa e sociale, quando la strumentalizzazione dei fratelli più poveri e più indifesi si riveste di buoni propositi, come ci ha ricordato papa Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate (cf. GE, n. 79).

 

Ma il Salvatore dell’uomo è lì al fiume Giordano, in fila con tutti gli uomini e le donne del suo popolo per attendere il suo turno, per ricordare a tutti che senza la consapevolezza della propria condizione umana non si può entrare nella nuova creazione.

 

Oggi siamo chiamati ad annunciare a tutti che il cielo è aperto.

Lo faremo non solo per noi, ma per la nostra società!

Uniamoci a Gesù in preghiera per ricevere con Lui ancora una volta il dono dello Spirito Santo e ascoltare la consolante voce del Padre: “tu sei mio figlio, in te mi compiaccio!”.

 

È l’augurio che, concludendo il tempo natalizio, desidero rivolgere a tutti voi.  Saremo anche noi consolatori delle nostre comunità, ovunque saremo, costruendo insieme la civiltà dell’amore, dove nessuno è escluso, ma tutti sono promossi e protagonisti, senza distinzione di classe o di appartenenza culturale.

 

Portiamo nel cuore le parole del profeta Isaia: “consolate, consolate il mio popolo, gridate che la sua tribolazione è compiuta!” (Is40,1-2).

 

Sono certo che insieme porremo le basi per far ripartire le nostre comunità nella Chiesa e nella società, affrontando le sfide del nostro tempo, sapendo che non siamo soli, ma il Signore cammina con noi.

 

In preghiera con Gesù, offriamo al Padre la nostra disponibilità perché scenda abbondante su di noi lo Spirito Santo preparandoGli la via perché possa incontrare i nostri fratelli.