Hong Kong e la Cina: le sfide e le speranze della gente e dei cristiani

Il resoconto dell’incontro alla Piccola Opera Charitas di Giulianova con Gianni Criveller, in chiusura del Mese Missionario

Mentre Gianni Criveller parlava alla platea della Sala Trevisan, nella sede della Piccola Opera Charitas di Giulianova, dall’altra parte del globo, ad Hong Kong, nuove manifestazioni, scontri e arresti incendiavano le strade, come accade ormai settimanalmente dal mese di giugno nell’ex colonia britannica, sempre più al centro delle cronache e del dibattito pubblico internazionale. Per questo, in occasione della chiusura del Mese Missionario Straordinario, lo scorso giovedì 31 ottobre la POC ha voluto organizzare un incontro sul tema “Hong Kong e la Cina: le sfide e le speranze della gente e dei cristiani”. Presenti il Vescovo di Teramo-Atri Lorenzo Leuzzi, il sindaco di Giulianova Jwan Costantini, e uno dei massimi esperti sull’argomento: Gianni Criveller, appunto. Sinologo di fama mondiale, preside dello Studio Teologico del Pime di Monza e membro del Consiglio di presidenza dell’Associazione Teologica italiana, nonché missionario in Cina per ventisei anni, la maggior parte dei quali trascorsi ad Hong Kong. Criveller ha tracciato i contorni del contesto storico, sociale, religioso e geopolitico della regione, per poi passare al racconto e all’analisi dei recenti avvenimenti, consegnando ai presenti anche una chiave di lettura sui possibili sviluppi della situazione attuale.

La città di Hong Kong, passata nel 1997 dalla Gran Bretagna alla Cina, è ora governata attraverso un singolare sistema politico, unico al mondo, denominato “un Paese, due sistemi”. «Hong Kong – ha spiegato il missionario – è parte della Cina, ma ha un sistema autonomo: ha una moneta diversa, una polizia diversa, una legge e un sistema giudiziario diverso, un sistema politico diverso. Una regione autonoma che di fatto si autogoverna». Le attuali proteste esplodono quando la governatrice Carrie Lam presenta, lo scorso 31 marzo, una proposta di legge sull’estradizione. È stata in particolare la possibilità di essere estradati anche in Cina, dove molte fattispecie considerate reato sono invece accolte come virtù ad Hong Kong (a cominciare dalla libertà di pensiero) a scatenare il malcontento. Eppure sembrerebbe un singolare caso di eterogenesi dei fini, come si evince dal racconto di Gianni Criveller. Tutto inizia quando, nel febbraio 2018, a Taiwan, un ragazzo di Hong Kong uccide la fidanzata e torna nella sua città. Diventa a quel punto impossibile punire il colpevole date le complicatissime relazioni con Taiwan, mai riconosciuta e di fatto inesistente per Hong Kong e per la Cina. La proposta di legge sull’estradizione nasce proprio dal desiderio di giustizia di Carrie Lam e dalla volontà di consegnare il giovane reo confesso a Taiwan, ma sarà invece la proverbiale goccia che farà traboccare il vaso. Per i tanti giovani che già si erano mobilitati nel 2014 con la famosa “rivoluzione degli ombrelli” chiedendo maggiore democrazia, la proposta di legge sull’estradizione (che prevede, come detto, anche la possibilità di estradizione in Cina) rappresenta il grimaldello di Pechino per entrare in maniera sempre più invadente a Hong Kong e minarne l’autonomia. A giugno si tengono due grandi, pacifiche, manifestazioni. Ma ben presto arrivano i primi scontri tra la polizia e gruppi, in realtà piuttosto piccoli, di violenti. «Il quella fase immediatamente successiva all’insorgere delle prime violenze – afferma l’esperto – Carrie Lam ha commesso un errore esiziale. Ritirando la sua proposta di legge solo dopo la degenerazione dei tumulti ha premiato la linea della minoranza violenta». Da quel momento in poi sarà una continua escalation con centinaia di feriti e migliaia di arresti. Una violenza crescente e inaccettabile, secondo il giudizio di Gianni Criveller: «ritengo che stiano portando in un vicolo cieco un movimento popolare nato invece con motivazioni nobili e importanti». Come potrà concludersi questa vicenda è ora difficile da prevedere, sostiene il missionario. «La mia paura è che accada quel che è successo in Irlanda del Nord. Anche lì la protesta iniziò per caso. Con dimostrazioni che culminarono nella Bloody Sunday da cui conseguirono l’IRA e la lotta armata durata trent’anni. Io ho paura che ad Hong Kong possa accadere qualcosa di simile, cioè che si formi un terrorismo urbano latente che possa emergere periodicamente. L’altra paura è che la Cina prenda in mano la situazione e invii le forze armate». Cosa sperare allora in questo quadro? «A questo punto spero che le proteste finiscano, perché sono diventate controproducenti».

Il sinologo non si è sottratto neppure all’approfondimento del tema della libertà religiosa. «L’attuale situazione del cristianesimo in Cina è molto difficile. Abbiamo 70 milioni di cristiani, di cui 12 sono cattolici. In senso assoluto è un buon numero ma in senso relativo sono pochi. Tuttavia sono numeri cresciuti esponenzialmente negli ultimi trent’anni. Il cristianesimo è una delle religioni che si sta diffondendo di più, nonostante il regime cerchi di ostacolarlo. I vescovi sono circa cento, circa tremila i preti e cinquemila le suore e tantissimi i laici molto impegnati. L’anno scorso la Santa Sede ha firmato un accordo con il governo cinese circa la nomina dei vescovi: un accordo molto difficile, che personalmente ritengo abbia punti deboli e punti forti, ma che serve certamente per rompere il ghiaccio e avviare in qualche modo il dialogo con il governo cinese. È stato fortemente voluto da Papa Francesco e quindi anche da tutti noi».

Al termine dell’incontro, al quale ha partecipato anche don Enzo Manes, direttore dell’Ufficio missionario diocesano, il presidente della Piccola Opera Charitas, Domenico Rega, ha esortato a dare ciascuno il proprio contributo nel “villaggio” in cui viviamo, con lo sguardo rivolto verso gli altri angoli del pianeta, entrambi parte di quel più vasto villaggio globale che è il mondo.