L’episcopio

episcopioIn occasione della solennità di San Berardo, Patrono della città di Teramo e della Diocesi di Teramo-Atri (19 dicembre 2000), è stato riaperto e presentato dal Vescovo alle Autorità, al Presbiterio diocesano e a tutti i fedeli il Palazzo Vescovile completamente rinnovato, sotto la guida della Soprintendenza dei beni ambientali, architettonici e artistici e storici per l’Abruzzo, col contributo CEI proveniente dall’otto per mille, del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, della Fondazione Tercas e con fondi della Diocesi.C’è voluto il coraggio del Vescovo Mons. Antonio Nuzzi per mettere mano ad un’opera tanto costosa e innovativa. Proveniente da una diocesi disastrata dal terremoto del 1981, dove il suo episcopio era una “roulotte” e poi un “prefabbricato”, Mons. Nuzzi dovette avvertire subito che la sede vescovile di Teramo era troppo ampia per la sola abitazione del Vescovo.

Ma anche se gli spazi erano molti, non erano però tutti utilizzati e necessitavano di restauri radicali per adattarli alle esigenze pastorali della Curia Diocesana. Veramente gli uffici di Curia erano già stati trasferiti da Mons. Abele Conigli nel piano superiore del palazzo e sistemati alla meglio nell’ampio salone, ma era ovviamente un soluzione provvisoria.Considerata la condizione di estrema precarietà e pericolosità dell’edificio, era necessario un intervento radicale mirato anche a conservare e a recuperare il valore storico ed architettonico dell’edificio e nello stesso tempo trasformarlo da semplice abitazione del Vescovo in centro delle principali attività pastorali della Diocesi.

Dopo lunga riflessione Mons. Nuzzi, con la fede che lo contraddistingue, ha messo mano ad un’opera immane non solo per la spesa finanziaria ma anche per la necessità di doversi trasferire in una piccola stanzetta del seminario aperta ai quattro venti (e ai ladri!) e soprattutto per il disagio di dover trasferire suppellettile, archivio, biblioteca e un’immensità di carte secolari nell’ampio salone del seminario trasformato in provvidenziale contenitore. E sapeva il Vescovo che avrebbe sostenuto tutto questo disagio non per sé ma per la Diocesi e per la città di Teramo, avviandosi egli ormai alla scadenza del suo mandato. Ma è bene ricordare qualche data per capire l’importanza storica del recupero di un edificio cittadino che è stato al centro della storia della città di Teramo. Dopo la distruzione di Teramo, avvenuta circa il 1156 ad opera del conte di Loretello, il Vescovo Guido II volle ricostruire la città su più larghe basi e anziché ricostruire la vecchia Cattedrale (oggi chiesa di S. Anna) con l’annessa abitazione del Vescovo, pensò di edificare una nuova Cattedrale e nei pressi di essa anche la nuova abitazione del Vescovo. Questa abitazione del Vescovo aveva forma di castello: quattro torri, unite da corpi di fabbrica, nel mezzo la corte. L’ala orientale aveva nel centro una loggia (la loggia dei leoni) prospiciente su Piazza del Mercato. Nel corso degli anni i successori di Guido II resero più protetto e difeso il castello, cingendolo di un fossato, perché il Vescovo era il Signore della città e ne aveva lo “jus imperii”, giurisdizione e diritti, che successivamente furono ceduti al popolo.

Il Vescovo Antonio Campano, che nel 1475 descrisse al Cardinale degli Ammannati la sua città vescovile diceva che la sua abitazione era “più comoda che bella e che era costruita a forma di castello, separata dalla Cattedrale da una piccola via”. La forma di castello rimase all’edificio fino ai primi anni del 1700, quando i Vescovi demolirono a metà le torri, dando alla costruzione l’aspetto di palazzo ed eliminando tutto ciò che poteva far pensare ad un luogo fortificato. L’episcopio così era un fabbricato a sé, completamente separato dalla Cattedrale da una via denominata “Via del Vescovado”. Nel 1738 Mons. Tommaso Alessio de’ Rossi, dopo aver trasformato l’interno della Cattedrale secondo la corrente barocca del secolo, ottenne dalle autorità cittadine il consenso per costruire un arco che univa l’Episcopio alla Cattedrale, arco demolito poi negli anni Sessanta del nostro secolo nel quadro dei programmi di isolamento della Cattedrale.

di Gabriele Orsini, da “L’Araldo Abruzzese” del 3 dicembre 2000